Uno strano re – Cristo re dell’universo – domenica 22 novembre 2009 – XXXVI Domenica T.O.

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 33b-37)
Cristo re
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giu¬deo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno con¬segnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

A Cesarea di Filippi era stato Gesù a chiedere cosa la gente dicesse sulla sua identità. A Gerusalemme è Pilato a porre a lui la domanda in forma diretta, se realmente fosse il re dei Giudei.
Pilato non aveva paura della fama di Gesù, ma di un popolo, quello ebraico, che potesse schierarsi contro l’impero di Roma che, con grande facilità, affossava le identità dei singoli stati e riduceva in schiavitù le persone. Pilato aveva capito che non si trattava di una questione di poco conto, ma a lui interessava far rientrare il tutto nella “politica dello struzzo”. In altri termini in quella logica del quieto vivere di chi non si schiera mai da nessuna parte, ma lascia precipitare tutto nel nulla, purchè si salvi la faccia.
Ma Gesù dinanzi a Pilato, emblema in Palestina di quel potere imperiale che si reggeva sulla violenza e sul terrore, non disdegna di affermare di essere un “re diverso”. La sua diversità sta nell’affrontare le situazioni e nell’immedesimarsi nelle più piccole di esse. Lui non è un imperatore che distrugge tutto e tutti per primeggiare, ma un re umile di pace. Dichiara apertamente di essere nato e di essere venuto nel mondo proprio perché si elida la sopraffazione, la schiavitù, la povertà, la logica discriminatoria e s’instauri un’era nuova di giustizia e di pace.
Dobbiamo imparare ed essere soprattutto una comunità ecclesiale che concretizzi itinerari di fede che abbiano la pace non come semplice anelito, ma con forme concrete di attenzione verso i poveri e di espressioni contro le guerre e soprattutto contro le costruzioni di nuove armi atomiche e nucleari. Dobbiamo renderci conto che la salita sulla croce di Gesù per la nostra salvezza ci dimostra che la verità non è parificata alla potenzialità, ma alla minorità e al servizio.

Il direttore

Don Antonio Ruccia

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