MEMORIA, FEDELTA’ E PROFEZIA – Mons. Francesco Cacucci

MEMORIA, FEDELTA’ E PROFEZIA

“Prima che Filippo ti chiamasse ti ho visto” (Gv 1, 43-51).

Primo incontro percorso diocesano di formazione per gli operatori delle Caritas Parrocchiali

24/10/2015 – Padre Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci

 

 

Non siamo noi che facciamo carità, ma la riceviamo. Dobbiamo essere consapevoli che la carità è Dio. La carità è Dio e quindi quanto più noi siamo ricolmi di Lui, tanto più irradiamo carità. La carità è proprio la scoperta di un volto. Si potrebbe dire “Io scopro il volto di Gesù nel povero” o altro, però come nella parabola del buon samaritano Gesù non ci dice “chi è il tuo prossimo?”, ma “di chi sei tu il prossimo?”. Perché noi crediamo sempre che è il prossimo l’oggetto dell’amore, invece proprio la parabola del buon samaritano dice che il prossimo è il soggetto cioè siamo noi il prossimo degli altri e questo permette di scoprirne il volto.

Come dice nella lettera “Ricerca e troverai”, il primo volto che il bambino vede è il volto della madre. Così come il volto della Chiesa che è Madre e che ci genera perché se non rinasciamo dall’alto non siamo consapevoli di rinascere, di essere generati da questa Chiesa Madre, non facciamo l’esperienza dell’amore. E siccome la carità è il culmine anche delle tre virtù teologali, quanto più una virtù è grande tanto più vi è carità. E quindi bisogna scoprire il volto della Chiesa Madre. Qual è la chiesa madre? Siamo tutti noi. Quando uno scopre il volto della chiesa madre da qui scaturiscono le relazioni, il sentiero delle relazioni.

Questo volto della Chiesa Madre come diventa concreto nella nostra vita? Perché se scopriamo il volto della Chiesa Madre scopriamo il suo volto è germe/segno/seme del Regno di Dio e il Regno di Dio va al di là della Chiesa. Uno si salva se entra nel Regno di Dio e noi come Chiesa dobbiamo essere il volto della madre che fa scoprire l’amore, prima ancora di fare delle cose, perché le cose e anche il bene non le facciamo soltanto noi. Dobbiamo essere consapevoli di questo. Tanto è vero che nella parabola del buon samaritano ci rende emblema di questo essere prossimo. Nel libro del Siracide dice che tre sono le categoria da cui guardarsi, una di queste sono coloro che abitano a Sichem cioè al pozzo di Sichem dove c’è la samaritana. Perché si odiavano al tal punto che quando tornarono dall’esilio babilonese i giudei che facevano capo a Gerusalemme e al suo tempio, volevano portare con sé al tempio per ringraziare il Signore i samaritani cioè quelli che abitavano nella Samaria. E questi li respinsero. Da quel momento l’odio cominciò fino al punto che si facevano dispetti, come ad esempio quando, siccome si diceva che le ossa dei morti rendevano impuri, i samaritani andarono a prendere tante ossa di morti e le portano nel tempio di Gerusalemme. Quindi tra i giudei e i samaritani non c’era una cordiale antipatia, non c’era solo una inimicizia, ma si sentivano nemici più di quanto non lo fossero con i pagani. Eppure Israele e Samaria erano in antichità l’unico popolo di Dio. Però Gesù per parlare di prossimo, soggetto di amore, va a prendere no un sacerdote o un levita che scendevano da Gerusalemme e da Gerico, ma un samaritano. Noi non siamo più capaci di fare l’amore degli altri, non siamo più capaci di dare l’amore agli altri, questo è un elemento che ci deve rendere molto umili. Per cui se noi vogliamo essere germe/seme del Regno di Dio, non è perché noi facciamo delle cose migliori degli altri ma perché nonostante la nostra pochezza, la nostra debolezza, il Signore ci ha voluto sempre strumento di salvezza. Volto della Chiesa Madre per tutti i poveri.

Come noi dobbiamo vivere questa Chiesa Madre? La dobbiamo vivere nelle realtà semplici, umili, faticose di ogni giorno. A cominciare dalla parrocchia, allargandoci al vicariato e vivendo il respiro della Chiesa che solo la diocesi può dare. Non è un fatto organizzativo, ma noi partiamo dalla parrocchia. Non esiste un vescovo senza Chiesa e una Chiesa senza vescovo, perché è soltanto attraverso gli apostoli, i successori degli apostoli, che c’è il legame con la Chiesa una santa cattolica e apostolica. Gli apostoli non erano migliori degli altri. Immaginate, ad esempio, che Gesù quando passò dalla Samaria fu cacciato essendo un giudeo, la stessa samaritana chiede a Gesù “come tu giudeo devi chiedere a me da bere?”. Furono Giacomo e Giovanni, i discepoli più sensibili, che erano accanto a Gesù a dire “vuoi che facciamo scendere un fuoco dal cielo che li consumi?”. E Gesù li fa una bella rifilata. Quindi noi dobbiamo pensare che alla fragilità degli apostoli che non erano migliori degli altri. Nicodemo era infinitamente migliore degli apostoli, era l’unico che era andato a ungere il corpo di Gesù con le donne che sarebbero andate il giorno dopo. Gli apostoli invece sono fuggiti tutti perché Gerusalemme è stato il luogo della delusione, della crocifissione e morte di Gesù. Quindi non è che è Chiesa perché esiste una capacità organizzativa variegata in base a quel vescovo, quell’altro vescovo, o a quel sacerdote, o del parroco e via dicendo. Ma perché così ha voluto il Signore Gesù. Che sia la Chiesa il volto della madre, della madre che genera i figli e li genera nell’amore.

E allora quest’anno partiremo dalla lettera pastorale che il vescovo ha inviato ad ogni parrocchia al fine di tre giorni e mezzo in cui ho vissuto l’Agape cioè la carità, il dono della carità. Nella mia esperienza di vescovo l’esperienza più bella è stata quella di vivere proprio l’esperienza di Chiesa perché c’era il vescovo, il parroco, i vari ministri, tutti i componenti del popolo di Dio. Però per tre giorni e mezzo abbiamo cercato di avere un occhio di amore sulla comunità e su tutte le persone del territorio parrocchiale. C’è una espressione molto bella “Ubi oculos ibi amor” ovvero “dove c’è l’occhio, lì c’è l’amore”. Come dice benissimo la Sacra Scrittura e quindi i Padri della Chiesa, noi dobbiamo “aprire gli occhi del cuore”. Se invece noi abbiamo vissuto l’esperienza della visita pastorale , poi viviamo l’esperienza della Caritas, poi viviamo un’altra cosa, poi FACCIAMO un’altra cosa, noi partiamo sempre da noi stessi. Io FACCIO del bene al prossimo, ma invece bisogna chiedersi “tu di chi sei il prossimo?”. “Prossimo di chi era?” dice Gesù, il prossimo era il samaritano.

E noi dobbiamo essere prossimi in che modo? Innanzitutto riprendendo nella prima parte, soprattutto nell’Avvento, questo incontro con Gesù che cerca di donare ai discepoli di Emmaus le tre perle e fa discernimento cioè dà la possibilità di avere gli occhi del cuore. Comincia dalla legge, da Mosè, dai profeti, i libri Sapienziali e le Scritture per dire quello che poi avrebbe vissuto il Messia che sarebbe morto ma poi sarebbe risorto. C’è una espressione molto bella quando Gesù si ferma con loro a tavola e vive l’Eucarestia, c’è una descrizione dell’Eucarestia, della celebrazione eucaristica così come si viveva nei primi tempi, il culmine dell’amore, loro dicevano “non ci ardeva il cuore nel petto”. Espressione che è stata anche tradotta “con tutto il cuore”, che è lo Shemà Israele: “amerai Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e il prossimo tuo con tutto te stesso”. Si è sempre detto da parte dei Maestri di Israele che quando Dio ha voluto dare la legge, l’ha scolpita nella pietra con il fuoco. Quindi la legge del Signore è il fuoco che arde e se uno vuole fare l’esperienza del Sinai (esperienza dell’alleanza, dell’amore) deve fare l’esperienza del fuoco. Quindi quando i discepoli dicono “non ci ardeva il cuore nel petto” è perché il loro cuore, come quelle tavole di pietra, è perché è stato scolpito dal Signore. La prima cosa che dobbiamo fare quindi è ascoltare il Signore e per ascoltare il Signore è necessario che noi, come i discepoli di Emmaus, seguiamo il metodo delle tre perle: la legge, i profeti, i libri sapienziali e poi ci mettiamo a tavola con Gesù e lo riconosciamo nell’atto dello spezzare il pane. Le parole che dice il Vangelo di Luca a proposito di questo momento ad Emmaus non è altro che la traduzione di quello che si legge nella istituzione dell’eucarestia: “prese il pane lo spezzò e lo diede loro”. Da quel momento non c’era più bisogno della persona di Gesù, perché c’era il suo sacramento tanto è che Lui scompare. Allora coloro che erano scappati, ritornano a Gerusalemme e annunciano che Gesù è risorto. Questo dobbiamo fare anche noi. Tutto il resto poi viene.

Noi non possiamo fare discernimento sul territorio. Il primo punto della lettera è in “ascolto del Signore dei segni dei tempi”. L’8 Dicembre vivremo i 50anni della chiusura del Concilio. Prima della chiusura del Concilio è uscita la “Gaudium Express” che è uno dei tormentoni che ha accompagnato almeno i primi 10 anni dopo Concilio e dato questa categoria che aveva inaugurato papa Giovanni nel “Mater et Magistra”. La categoria era i “segni dei tempi”, una categoria evangelica. Bisogna riconoscere i segni dei tempi e scrutare i segni dei tempi alla luce del Vangelo, questo si fa nelle catechesi. Non ci può essere carità nella Chiesa Madre senza partecipare a questo metodo delle tre perle, senza ascoltare la parola di Dio, senza far catechesi. Chi partecipa alla Caritas e non vive la catechesi con la propria comunità rischia di costruire sulla sabbia, rischia di fare delle cose che partono dal proprio cuore e non dal cuore di Gesù. Perché la parola di Gesù è l’Eucarestia che ci devono far scoppiare il petto per questo fuoco che non solo lo riscalda, ma che arde. Quando è morto S. Filippo Neri si hanno trovato una specie di realtà bruciata sul suo petto, nel senso che era talmente pazzo di amore che ha avuto anche questo riflesso fisico. Quindi non si può discernere i segni dei tempi senza l’ascolto della Parola, senza la partecipazione all’Eucarestia e questo si fa INSIEME, si fa nella Chiesa. Nella Chiesa che però innanzitutto è in quel territorio, in quel pezzo di territorio che è la parrocchia. Ho dato come criterio fondamentale in quasi tutte le parrocchie l’incontro comunitario, ovviamente lascio alle singole comunità di decidere se farlo settimanalmente, mensilmente, però è fondamentale perché non è soltanto la preparazione ai riti della liturgia domenicale, è un ascolto della Parola per leggere i segni dei tempi alla luce del Vangelo. Una cosa che mi ha impressionato nelle visite pastorali è che in ogni territorio parrocchiale o cittadino o anche dei singoli paesi, ci sono dei fenomeni macroscopici per esempio di povertà, di devianza o di chiusura che sfuggono. “Abatuetis non fit passio” cioè quando uno è abituato a fare una cosa non se ne accorge più, l’abitudine finisce con non farci accorgere nemmeno degli episodi macroscopici. Noi dobbiamo fare in modo no con le nostre forze, con il nostro sentimento, ma ascoltando queste tre perle per far sì che arda nel nostro petto il cuore stesso di Gesù. E allora insieme leggere il territorio. Quindi vorrei che in questa prima parte dell’anno seguiate queste indicazioni, questo primo punto: in ascolto del Signore dei segni dei tempi e poi considerazioni sulla vita della comunità. Per vedere da quel momento, da quando abbiamo vissuto la visita pastorale che cosa è cambiato. Faccio spesso riferimento alla Caritas. Dico che la Caritas non è un gruppo, insieme agli altri gruppi e no perché è più importante degli altri, ma perché la Caritas non è altro che una vocazione che tocca tutta la comunità. Ma ogni vocazione corrispondono coloro che come segno la animano. Una Caritas che non anima la comunità a vivere questo ardere nel petto, può fare le cose più belle, può far le mense o tutto quello che vuole, però è la sua carità. A volte i gruppi Caritas volevano che facessi degli incontri con loro, all’inizio li ho fatti poi mi sono sempre rifiutato perché la carità non la fanno soltanto quelli della Caritas, perché i catechisti non fanno la carità? Perché chi va a trovare gli ammalati non fa la carità? È una realtà che tocca tutta la Chiesa. Naturalmente non tutti sono in grado di andare a portare la comunione agli ammalati, qualcuno starebbe male se andasse. Uno dei segni di questa incapacità che la carità coinvolge tutta la comunità è proprio il giudizio. “Tu non fai carità perché non fai quello che faccio io”. Nessuno si deve mai permettere di giudicare gli altri. Io ogni volta che andavo a trovare gli ammalati mi sentivo pigmeo perché trovavo una mamma, una moglie, un marito, un figlio, una figlia che da anni accompagnava la malattia.  Ditemi allora che cos’è questo? Che cos’è allora la carità? Ricordo quello che mi è capitato in una parrocchia, dove era morto uno dei due fratelli disabili e la mamma che li aveva sempre seguiti a me venne in mente immediatamente di pensare “finalmente povera donna si riposerà un po’” e andai lì. Allora il parroco mi chiese di dire a questa famiglia “digli di andare un po’ fuori perché quest’anno mamma e figlio si sono fissati mamma e figlio che non vogliono andare fuori per le vacanze” e allora io sono andato e ho chiesto loro il perché non volessero andare fuori. Mi ha detto la mamma “mi ha detto mio figlio che è morto il fratello e noi dobbiamo sentirci più legati a lui rimanendo a casa”. Quindi la carità e scoprire i segni dei tempi è scoprire questo. Se uno crede che ciò che fa lui è carità, questa non è carità tanto è che la fa secondo il suo criterio come il sacerdote e il levita che avevano la legge di fare la carità presso coloro che erano della stessa stirpe, ma non si potevano permettere di fare il bene a chi è nemico. Allora scrutare il Signore e i segni dei tempi significa scoprire i germi di carità e di amore che esistono nella comunità, scoprire nel territorio, vedere le membra sofferenti del territorio. A volte non ci si accorge del territorio in cui si vive, a volte è anche vero che un singola parrocchia non è in grado di scoprire il proprio territorio perché quella parrocchia è legata ad un territorio più vasto. Ci sono fenomeni che chi ci vive dentro non si accorge più e la lettura dei segni dei tempi e del territorio a volte non è in grado di farlo da sola una parrocchia, lo deve fare con gli altri. Per questo non bisogna leggere soltanto la lettera che io ho mandato a quella parrocchia, infatti quando ci incontreremo con il vicariato è bene che le persone leggano anche le lettere del vicariato. Siamo Chiesa, questa è carità. Perché sennò siamo nella logica che devo fare la carità ai “miei”, come dico io, questo lo diceva il sacerdote e il levita. Il sammaritano fa carità con tutto il cuore perché va verso quest’uomo e ha COMPASSIONE. Non si può vivere la carità senza la compassione. Vivremo l’anno della Misericordia, ma vorrei che voi lo vedeste sotto questo aspetto ovvero come la misericordia che nella Sacra Scrittura si dice compassione. Infatti si dice del samaritano che “ebbe compassione di lui”. La traduzione in ebraico di misericordia non è soltanto la benevolenza di Dio, la fedeltà di Dio, ma è “rachamim” (utero). L’utero di Misericordia è un fatto passionale, a differenza della cultura del tempo, è una passione la Misericordia, Seneca diceva che era una “malattia dell’anima”, contro la ragione. Perché è irragionevole l’amore che Dio ha avuto per noi, è irragionevole quello che fa il sammaritano perché rischia la vita visto che poteva incontrare di nuovo i briganti (amare con tutta l’anima) e poi va dall’oste lo affida, dà i soldi e dice “al mio ritorno se sarà necessario pagherò” (amare con tutte le forze). Potrei riportare tantissimi altri brani della Scrittura che non sono altro che l’applicazione dello Shemà Israele, “amare con tutto il cuore con tutta l’anima e con tutte le forze”. È quindi l’amore passionale, ancora una volta l’amore di una madre. L’utero di Misericordia, non c’è amore più grande di questo che ha portato con sé il figlio per 9 mesi. Fare questo significa allargare il proprio cuore, questo permette di varcare i confini del proprio cuore, della propria intelligenza, della propria parrocchia.

Quindi scrutare i segni dei tempi non può essere fatto da solo o dal gruppo Caritas, toglietevelo dalla testa. Deve essere fatto da tutti, sacerdoti e laici insieme, parrocchia e parrocchia insieme, una singola parrocchia non è in grado di scrutare i segni dei tempi, parrocchie della diocesi insieme perché anche una Chiesa locale deve scrutare i segni dei tempi. Quello che si fa anche qui. Questi sono alcuni aspetti che durante un cammino, durante quest’anno dobbiamo vivere insieme. Sapere che il volto della Chiesa Madre è l’utero di misericordia della Chiesa Madre, la compassione della Chiesa Madre, deriva dalla nostra capacità di orientare con tutto il cuore con tutta l’anima e con tutte le forze, come ha ricordato Nicodemo. Ma non da soli. L’incontro comunitario, cerchiamo di farlo anche con tutto lo sforzo. L’incontro comunitario se vengono 10/20 persone è pure assai, poi sei vai in ogni gruppo, ho trovato addirittura 40 persone per gruppo in una parrocchia ognuno dei quali voleva un incontro con me e ognuno dei quali vuole un incontro con il parroco. Con tutto il rispetto per i gruppi, ma questa non è Chiesa perché la Chiesa non è il gruppo. La Chiesa non è neanche la parrocchia, è una parte della Chiesa. La Chiesa è intorno al vescovo, il Giovedì Santo noi viviamo la chiesa come segno premiante.

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