Albania: un ponte verso la progettualità

Non è semplice descrivere ciò che ci spaventa:

è come guardare in un pozzo molto profondo, di

cui, nessuno riesce a scorgere il fondo.

Ma per capire davvero cos’è la povertà, riflettere

e agire per contrastarla è necessario iniziare da

qui, da questo gettare lo sguardo fuori da noi stessi,

scrutare oltre l’orizzonte della nostra vita e tuffarsi

in questo pozzo senza fondo……..

(di chi è la frase?)

L’esperienza vissuta da alcuni dei giovani del Servizio Civile a Scutari, in Albania, guidati dal Direttore della Caritas Diocesana Bari-Bitonto Don Antonio Ruccia, ha permesso di toccare con mano varie  povertà che colpiscono tale paese, non solo da un punto di vista economico-finanziario, ma anche culturale e sociale.

In genere povertà significa mancanza di sicurezza e stabilità per quanto attiene a molte dimensioni, tra cui scarsa integrazione sociale, rapporti interpersonali insufficienti, dispersione scolastica e arretratezza dei servizi per la persona e per la comunità.

Durante la permanenza è stato possibile, oltre che immergersi in questi luoghi in cui regnano le povertà e soprattutto l’arretratezza culturale, vivere in prima persona il contatto con persone che per un disagio economico, fisico o psichico, si trovano in strutture a loro adibite in cui lottano per ritrovare la dignità distrutta dal passato dovuta per la maggior parte cinquantennio dittatoriale e dai lori vissuti.

La casa-famiglia per ragazze e quella per diversamente abili, sono state fondate negli anni ’90 da don Carlo Zaccaro, Sacerdote dell’opera della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa” di Firenze, con l’obiettivo di “salvare” persone che rinchiuse in orfanotrofi e ospedali psichiatrici, erano state spogliate della loro dignità.

Nel 1992, su indicazione delle Suore di Madre Teresa di Calcutta, don Carlo Zaccaro facendo visita in Albania in un orfanotrofio vi rimase scioccato dell’abbandono e della sporcizia in cui erano tenuti i bambini, per lo più celebrolesi. Immediatamente decise di aiutare questi poveri esseri umani costruendo e arredando, per conto della Madonnina del Grappa, case-famiglie che ospitassero tutti questi bambini abbandonati al loro destino.

Si aprì così un ampio orizzonte di lavoro in tema del vigoroso recupero delle creature svantaggiate con l’obiettivo di un inserimento, sia pure protetto, nel tessuto della vita sociale.

La casa-famiglia per ragazze accoglie minori allontanati dalla famiglia d’origine perché vittime di maltrattamenti, abbandonate per problematiche inerenti al difficile sostentamento economico o vittime di violenza assistita nei confronti della figura genitoriale femminile in quanto vittima della prostituzione.

La struttura è gestita da suore di nazionalità italiana e figure educative di riferimento albanesi che assicurano l’accoglienza e la cura del minore, assistenza e tutela, costante azione educativa, con l’avvio di progetti interni inerenti al recupero affetivo-sociale che prevedono l’inserimento/reinserimento scolastico, lavorativo e di autonomia personale per dal loro un futuro al di fuori della stessa struttura.

Laddove è possibile si effettua un lavoro di recupero del rapporto con la famiglia per non interrompere il legame e favorire un probabile reinserimento del minore in quest’ultima.

Tutto ciò avviene nella gestione della quotidianità ed organizzazione della vita alla stregua di quanto avviene nel normale clima familiare con coinvolgimento dei minori in tutte le attività di espletamento della vita quotidiana.

La casa famiglia per diversamente abili accoglie persone in situazioni di handicap con medio-grave deficit psico-fisici che richiedono un alto grado di assistenza alla persona, dove non sono in grado di condurre una vita autonoma ma con medi livelli di recuperabilità dell’autonomia in alcuni di loro.

La struttura è gestita da figure femminili che garantiscono l’assistenza diurna e notturna, attività socializzanti ed educative, un ambiente ad alto livello affettivo e anche qui familiare in cui si finisce per svolgere un ruolo genitoriale dato che sono privi di qualsiasi riferimento familiare in vista della loro situazione psico-fisica e abbandonati sin dalla tenera età. Una parte di loro seguono un laboratorio di falegnameria finalizzato all’acquisizione di competenze lavorative e allo sviluppo della creatività, importanti per un reinserimento nella vita sociale.

Dalla morte di don Carlo Zaccaro, referente di tali strutture è Fabrizio Nocchi, anch’egli originario di Firenze, che con dedizione e passione, si reca nelle strutture e si occupa della loro gestione a livello burocratico e organizzazione delle prestazioni da erogare, organizzando per loro anche vacanze in montagna e al mare.

Il nostro coinvolgimento con questi ragazzi è avvenuto attraverso attività psico-pedagogiche adeguate alle  loro potenzialità. Alcuni di noi hanno partecipato ad un’esperienza di campo scuola in una località vicino Scutari relazionandosi con i bambini attraverso attività di animazione a valenza educativa.

Tale esperienza è stata per tutti noi un’occasione di crescita e il fatto di aver potuto osservare un’area povera di confine e le opportunità esistenti,  ci ha reso consapevoli che il progetto realizzato da don Carlo Zaccaro, il lavoro di Fabrizio Nocchi e  delle figure di riferimento, ha dimostrato come anche i soggetti che hanno delle problematiche di qualsiasi livello possono affrontare la vita alla stessa stregua dei loro coetanei, con la prospettiva di esternare le proprie attitudini, acquisire il diritto di ogni essere umano e riscrivere un nuovo copione della loro vita.

Non esistono terre senza futuro, solo terre senza progetti e un cambiamento si attiva solo se siamo noi ad attivarlo.

 

Daniela Mennuni – Volontaria del SC presso la Caritas Diocesana Bari-Bitonto

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